OSCAR  ARNULFO  ROMERO

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Ho conosciuto mons. Romero, arcivescovo di San Salvador, nel 1971.

Allora era un semplice vescovo di provincia, al margine dei diversi movimenti di rinnovamento teologico e pastorale della Chiesa latinoamericana. Si diceva in quella piccola nazione centroamericana che Romero "non era in linea con Medellin"…

Sorprendendo tutti, e particolarmente quelli che avevano appoggiato la sua nomina, dopo pochi mesi il nuovo arcivescovo si trasformò radicalmente. Non molto tempo fa confidò il motivo di questo cambiamento (non gli piaceva parlare di "conversione"): "Ho sentito molto più vicine e nella mia carne la sofferenza e la repressione dei contadini, tra i quali c'erano molti catechisti e capi delle comunità cristiane… I sacerdoti che mi aiutarono di più, fin dal principio, furono precisamente quelli dei quali mi era stato detto che erano "pericolosi" e "poco ecclesiali"… Soprattutto mi commosse l'assassinio del sacerdote Rutilio Grande (ucciso mentre indossava i paramenti per celebrare l'eucarestia nella sua parrocchia di campagna) del quale sapevo con certezza che non faceva politica né era estremista".

In poco tempo, mons. Romero diventò un simbolo del profetismo cristiano in una società ingiusta, violenta e bisognosa di conversione. Il suo messaggio, profondamente radicato nel suo popolo, a lui diretto e proclamato abitualmente nelle sue omelie domenicali sintetizzò meravigliosamente le esigenze della liberazione degli oppressi, il cammino della nonviolenza e la chiamata alla riconciliazione cristiana. Romero divenne così uno dei sacerdoti più rappresentativi, a livello mondiale, della Chiesa dei poveri sorta dopo Medellin che promuove i diritti umani e la fraternità.

La realtà alla quale fu inviato dal Signore come missionario è di una drammaticità senza eguali nel continente americano. Annunciò il Vangelo in un Paese di ogni tipo di abusi e di violenze e al limite della guerra civile. La risposta evangelica che egli diede ai gravi problemi pastorali -spesso in un angoscioso discernimento nella fede, tra la confusione e l'ambiguità degli avvenimenti che precipitavano- fu per lui il cammino che lo fece più profondamente cristiano, fino ad essere disposto a dare la vita per le sue pecore.

Le accuse dei gruppi dominanti, giunte più volte fino a Roma, lo incolpavano di immischiarsi nella politica e di essere un agitatore dei contadini. In realtà, questo modesto sacerdote era lontanissimo dall'essere un politico ed un agitatore. Semplicemente, come il suo Dio, fu sensibile al clamore del suo popolo. Le sue prediche, nella messa domenicale della cattedrale di San Salvador, si diffondevano in tutta l'America Latina, pur non avendo nulla di straordinario. Dedicava una mezz'ora alla spiegazione popolare del vangelo del giorno e dieci o quindici minuti all'applicazione del brano evangelico agli ultimi avvenimenti nel suo Paese. Ciò che invece era straordinario era la grande libertà cristiana con la quale si esprimeva in qualità di pastore. Era libero nel contestare il Governo, i partiti politici, l'oligarchia, i ricchi ed anche, quando era necessario, le comunità cristiane popolari.

Interrogato a Puebla da una giornalista sulle tensioni tra la Chiesa e lo Stato del Salvador, rispose: "Nel Salvador non esiste un conflitto tra Stato e la Chiesa, ma tra lo Stato e il popolo. Noi dobbiamo sostenere la giusta causa del popolo; questa è l'origine dei conflitti".

Le religiose e i contadini che raccolsero il corpo agonizzante di mons. Romero vicino all'altare dove fu ucciso erano di fronte ad un autentico martire del cristianesimo. Un cristiano che ha vissuto la beatitudine della persecuzione fino alla morte per il "delitto" di annunciare, opportunamente e no, il vero ed unico Dio di Gesù Cristo e le esigenze del suo Regno: il Dio che vuole per tutti gli uomini vita, e vita in abbondanza; il Dio della giustizia, della misericordia e dell'amore universale; il Dio incompatibile con lo sfruttamento dei poveri, e con qualsiasi tipo di manipolazione della religione e della Chiesa che ci lasciò Gesù Cristo.

In una povera cappella dei sobborghi della sua diocesi l'arcivescovo Oscar Arnulfo Romero ottenne la grazia della suprema identificazione con Gesù Cristo qui sulla terra: quella di seguirlo fino al sacrificio della croce per l'amore più alto, quello della causa del Padre e dei valori del suo Regno, posto al servizio dei fratelli. Come i martiri dei primi tempi, il suo corpo fu sepolto in fretta e quasi di nascosto: la violenza contro la quale aveva tanto predicato impedì la celebrazione dei suoi funerali.

Questo martirio nobile, ma allo stesso tempo brutale, racchiude in sé una grazia ed una profezia per tutte le Chiese latino-americane e per tutti i cristiani.

Segundo Galilea

(questo testo è apparso su "Nigrizia" - giugno '80)

[El Salvador / la forza di un popolo contro il potere delle armi. 2 - Quaderni C.T.M. (Gruppo Controinformazione Terzo Mondo) a cura di Vicinio Russo e Gabriele De Biasi. Lecce. 1983].

 


 

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