GIUSEPPE  BERAN

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IL CARDINALE GIUSEPPE BERAN ARCIVESCOVO DI PRAGA

(BREVE PROFILO DELLA VITA)

 

Quando una volta sarà scritta la storia della Chiesa Cattolica in Boemia e Moravia del sec. XX, il Card. Giuseppe Beran sarà senza dubbio uno dei suoi più grandi protagonisti. Forse diventerà un simbolo della nazione ceca la cui fede può diminuire, intiepidire, ma che non muore mai anche se viene esposta alle persecuzioni più accanite.

 

GIOVINEZZA - SACERDOTE – APOSTOLO

Giuseppe Beran nacque il 29 dicembre 1888 dal maestro elementare Giuseppe e Maria Benešova, nella Città di Plzen. Dal padre ereditò soprattutto la fermezza di carattere, la fedeltà ai princìpi nonché l'accuratezza nel lavoro. I coniugi Beran ebbero sette figli, due dei quali morirono dopo la nascita. I genitori erano cattolici esemplari. Pregavano insieme ogni sera ed assistevano alla messa ogni domenica. Inculcarono nel giovane Giuseppe l'amore alla patria, alla natura, all'arte, e, allo stesso tempo alla modestia ed alla vita senza pretese (date le ristrettezze economiche). A Giuseppe piaceva studiare, essendo convinto che sarebbe diventato sacerdote. Grande influsso esercitò su di lui l'insegnante di religione. L'esame di maturità segnò la decisione di avviarsi allo studio della teologia e per questo motivo fu inviato a Roma, nel 1907.

Fu ordinato sacerdote il 10 marzo 1911. Nel 1912 si laureò in teologia e quindi tornò in patria, ove esercitò con grande zelo molte mansioni: viceparroco, assistente spirituale di istituti, predicatore di esercizi, professore di pedagogia, scrittore, teologo. Nel 1925 fu nominato direttore di tutte le scuole cattoliche. Ovunque portò la profondità delle sue convinzioni e tutta la sua attività sacerdotale fu una manifestazione della sua vita interiore. Nel 1932 fu nominato rettore del Seminario di Praga, dove profuse tutto il suo spirito, allargando contemporaneamente il suo apostolato nell'Azione Cattolica, nella Charitas, nel campo scientifico, sociale, liturgico, pedagogico e teologico.

 

ARRESTO E CAMPO DI CONCENTRAMENTO

Il patriottismo di Beran insieme alla sua vasta attività religiosa dovevano scontrarsi necessariamente con l'occupazione nazista che cominciò nel marzo 1939. Beran si rifiutò di dare agli occupanti la chiesa del seminario. Il 6 giugno 1942 fu arrestato. Prima nelle carceri di Praga, poi a Terezin, e infine a Dachau in Germania, dove rimase fino al maggio 1945. Nel campo di lavoro all'inizio come "netturbino", più tardi nel reparto per la produzione dei detergenti. Nel 1943 fu una delle vittime dell'epidemia di tifo. Durante la convalescenza lavorava nel reparto degli invalidi, rattoppando i calzini. Poi fu copista e quindi nelle piantagioni di verdura. Descrivendo questo periodo, Beran lo divise in tre fasi:

periodo di provvedimenti rigorosi, dove le manifestazioni religiose venivano severamente perseguitate. Durante questo periodo racconta di "aver un piccolo tabernacolo nascosto dietro la trave con particelle dell'Ostia nascoste nella scatoletta delle medicine";

b) periodo di provvedimenti meno severi, dove "si fingeva di non vedere certe cose che prima venivano perseguitate";

c) periodo dei rinnovati provvedimenti rigorosi.

Quanto più diminuiva per i tedeschi la speranza di una vittoria finale, tanto più sospettosi diventavano ed il campo era sempre nello stato di legge marziale. Nel 1945: la libertà.
In tutto questo periodo testimoni affermano che Beran fu "il sole di Dachau" per tutti. In lui tutti vedevano sempre e solo il Sacerdote di Cristo; per tutti cercò di far vivere la massima di S. Francesco di Sales: "Sperare contro ogni speranza". E si guadagnò la stima di tutti, compresi i tedeschi.

 

SECONDO ARRESTO ED INTERNAMENTO

Tornato da Dachau, Beran istituì il "Centro arcidiocesano pastorale". Morto il Card. Kašpar, Mons. Beran fu designato come candidato alla successione. La nomina avvenne il 4 novembre 1846 e l'8 dicembre la consacrazione, presente il primo ministro Clemente Gottwald. Come motto prese: "Eucharistia et labor", perché, come scrisse nella sua prima lettera pastorale: "L'Eucaristia è la sorgente della comunione del lavoro". Ma fino al 1947 si faceva sempre più forte la pressione e propaganda del Partito Comunista Cecoslovacco contro la Chiesa Cattolica, soprattutto nella scuola e nella stampa. I Vescovi difendevano la fede e la Chiesa nelle loro lettere pastorali. Ed anche Mons. Beran levò la sua voce: "… la storia della nostra nazione, dice l'Arciv. di Praga, dimostra che mai alcuno è stato rieducato in un modo soddisfacente con metodi forzati, né per il bene suo personale, né per il bene della patria".

Il 25 febbraio 1948 il Partito Comunista prese il potere e Gottwlad, presidente, chiese a Mons. Beran di cantare il Te Deum per la sua elezione. L'Arcivescovo acconsentiva, ma pochi giorni dopo metteva in chiaro la posizione della Chiesa, mentre, con gli altri vescovi protestava contro la soppressione di quasi tutta la stampa cattolica, gli attacchi contro i Vescovi e la S. Sede. Nel giugno poi del 1948 Mons. Beran veniva attaccato per aver dichiarato che i sacerdoti che assumevano cariche politiche senza il consenso dei Vescovi, incorrevano nella scomunica, perché, affermava Mons. Beran "il vero posto di un sacerdote è nella vita pastorale, non nella politica".

Nel 1949 aumentavano le pressioni e Mons. Beran denunciava al ministro degli interni che le discussioni dei Vescovi nelle loro riunioni erano intercettate da appositi apparecchi nascosti nella sala delle consultazioni. Così le trattative tra vescovi e governo giunsero ad un punto morto. Finché si tentò di fondare un'"Azione Cattolica" non cattolica, e cioè alle dipendenze dello Stato. Contro questo tentativo Mons. Beran scrisse una lettera rivolgendosi a coloro che si sarebbero prestati a ciò: "… sono convinto che per trenta soldi non venderete il vostro cuore sacerdotale e non tradirete Cristo". Il 15 giugno 1949 fu eseguita la perquisizione nel Palazzo Arcivescovile. Il sabato 18 giugno in una omelia tenuta nel monastero premostratense di Praga l'Arcivescovo Beran disse: "Non so quante volte ancora potrò parlarvi. Ma ora dichiaro pubblicamente come vescovo: mai e poi mai darò l'assenso ad un accordo diretto contro le leggi divine e la Santa Chiesa. Dichiaro solennemente davanti a Dio e davanti alla nazione che mai concluderò un accordo che violasse i diritti della Chiesa e dei Vescovi. Nessuno mi costringerà a farlo…". Il giorno seguente, festa del Corpus Domini era programmata la processione sulla piazza di Hradcany. Ma la piazza era vuota. La polizia faceva passare solo piccoli gruppi di "sconosciuti". L'Arcivescovo Beran, prima dell'Omelia, dichiarò "… considero mio dovere avvertirvi che la cosiddetta 'Azione Cattolica' non è cattolica e che il 'Giornale Cattolico' che vendono davanti alla cattedrale non è cattolico.

A questo punto l'omelia venne interrotta da fischi e urla. L'arcivescovo non continuò la predica, ma terminò in silenzio la S. Messa. Poi tornò in macchina nella sua residenza dove gli venne comunicato che, per ragioni della sua sicurezza personale, gli si vietava di uscire dal Palazzo Arcivescovile. Così Beran divenne per un certo periodo prigioniero nel suo palazzo.

 

DALL'INTERNAMENTO FINO ALL'ESILIO ROMANO

L'Anno Santo 1950 significò per la Chiesa cecoslovacca un periodo di violenta persecuzione. Contro i decreti governativi Mons. Beran protestò con la lettera al Primo Ministro Zàpotocky.

Il 7 marzo 1950 la Commissione Penale del Comitato Nazionale di Praga I dichiarò l'Arcivescovo colpevole di aver svolto attività pastorale senza aver prestato la prescritta promessa di fedeltà alla Repubblica. Venne perciò punito con la multa di 50.000 corone cecoslovacche e, come pena secondaria, con un soggiorno obbligatorio fissato dal ministero degli Interni. L'arcivescovo si appellò subito, ma già il 7 marzo venne segretamente trasferito a Rozelov. Di qui incominciarono le tappe dell'internamento che furono ben sei sino al 1965. Non potrà partecipare al Concilio vivente Papa Giovanni 23° e lo stesso Pontefice nel 50° di sacerdozio gli indirizzò una commoventissima lettera che enumera gli altissimi meriti di Mons. Beran e denuncia tutte le vessazioni perpetrate contro l'intera Chiesa cecoslovacca. La lettera tornò in Vaticano con la nota "senza recapito". Nel febbraio 1963 Mons. Beran ricevette, sempre da Papa Giovanni, il dono di un breviario, conforto indicibile dopo tanti anni di isolamento da Roma.

Finché, il 23 novembre 1963 Mons. Beran scrisse a Paolo VI pensando di essere ostacolo alle trattative con il Vaticano e si disse disposto a rinunciare alla Sede Arcivescovile avendo "in mente soltanto la salvezza eterna delle anime immortali". E si firmava: "oboedientissimus".

Il 25 gennaio 1965 Mons. Beran ricevette da Paolo VI la lettera con cui comunicava che nel Concistoro segreto del 22 febbraio sarebbe stato creato cardinale.

Il 19 febbraio Mons. Beran arrivò a Roma. A Praga veniva nominato Amministratore Apostolico Mons. F. Tomášek, mentre il Card. Beran conservava il titolo di Arcivescovo.

"Entrano nel S. Collegio alcuni vescovi che hanno in comune la gloria di aver sofferto per la fede cattolica". Disse Paolo VI nella allocuzione del Concistoro. Questi vescovi erano: Mons. Giuseppe Beran e Mons. Giuseppe Slipji.

Non perdette tempo Mons. Beran durante i duri e lunghi anni di internamento. Oltre alle lunghe ore di preghiera, lavorò in campo letterario, specialmente sulla B. Agnese di Praga di cui voleva la canonizzazione, ed altri lavori di carattere religioso.

 

ESILIO ROMANO E MORTE

Benché con sommo dolore dovette abbandonare la Patria, il Card. Beran ebbe sempre il cuore fisso alle anime della carissima arcidiocesi praghese e a tutta la Cecoslovacchia. Ne visse tutte le lotte e le trepidazioni, desiderando sempre di poter tornare tra il suo gregge e lì riposare in attesa della resurrezione.

Di grande importanza è stato il Suo intervento al Concilio, nell'ultima sessione del settembre 1965. Famoso, e passato alla storia, il Discorso tenuto nell'aula conciliare il 20 settembre 1965 sulla libertà religiosa soprattutto in Cecoslovacchia. Con questo discorso inaugurò un nuovo capitolo della storia della nazione perché voleva porre un ponte per colmare l'abisso tra i cattolici e i protestanti, superando la storia della sua nazione con questo messaggio di tolleranza e di libertà.

Durante il periodo dell'esilio romano, il Card. Beran visitò i suoi connazionali profughi in ogni parte del mondo. Germania, Norvegia, Stati Uniti, Canada, Lussemburgo, Inghilterra, Irlanda, ecc., varie città italiane l'ebbero ospite per presiedere a manifestazioni religiose. Visitò varie volte Urbania, quale centro di preghiera e di aiuti anche per la sua nazione.

La primavera di Praga, nel 1968, riaccese le speranze per un ritorno in Patria. Gli avvenimenti cecoslovacchi dettero ancora una volta la prova

tangibile dell'ansia pastorale dell'Arcivescovo di Praga in ore che furono definite di preghiera e di lutto. Quando Jan Palach si bruciò vivo nella Piazza S. Venceslao di Praga, il Card. Beran dalla radio vaticana parlò e disse tra l'altro: "… il mio cuore è con voi… condivido la passione… Chi vi parla ha pure sofferto… sono in Cristo vostro maestro, vostra guida, vostro amico, vostro padre. …se non mi è dato rivedervi, considerate questo come il mio testamento" (26 gennaio 1969).

Davanti alla tragedia della Patria, il grande cuore del Card. Beran non resse. Dopo una operazione subita a Stoccarda, peggiorò sempre, finché, santamente com'era vissuto, il 17 maggio 1969 si congiunse per sempre con S. Adalberto nella Patria Celeste, per proteggere e preparare la resurrezione della Patria terrena. Paolo VI volle che, in attesa di tornare in Patria, fosse sepolto nelle grotte vaticane, preso la cripta dei Papi.

Questo breve profilo del Card. Beran è stato desunto dalla tesi di licenza con specializzazione in ecclesiologia dello studente boemo del Pontificio Collegio Nepomuceno, Karel Simandl, della Pontificia Università Lateranense, 1983.

 

[Commissione per la Chiesa del Silenzio. Costruire i ponti. Verso al Chiesa perseguitata della Cecoslovacchia. Omaggio nel 15° anniversario della morte: Il Card. Giuseppe Beran Arciv. di Praga (breve profilo della vita), 1984]