Antonio  Bello


 

 


 

 

Antonio Bello

 

La profezia oltre la mafia *

 

[in Sud a caro prezzo, Edizioni La Meridiana, 2003, Molfetta].

 

 

Desidero prendere l’avvio da una frase di Gioacchino da fiore, una delle più affascinanti figure del Medioevo cristiano.

Egli era figlio di quella Calabria generosa e sofferente che oggi ci stiamo abituando a guardare come l’icona dei Sud della terra, e fu il capostipite di una scuola di profeti che, dal sec. XII in cui egli visse, non ha mai chiuso i conti con la speranza.

Parlando degli stati, o periodi, attraversati dal genere umano, la cui storia egli raccorda al mistero trinitario, dice espressamente così:

“Il primo stato del mondo fu stato di schivi. Il secondo, di liberi. Il terzo sarà comunità di amici. Il primo stato vide le erbe. Il secondo lo spuntar delle spighe. Il terzo raccoglierà il grano. Il primo ebbe in retaggio l’acqua. Il secondo il vino. Il terzo spremerà l’olio”.

 

Forse assoggetto a estrapolazioni manipolatorie il testo di Gioacchino da Fiore, ma mi sembra molto interessante coglierne la suggestione e dire sostanzialmente tre cose:

 

A.    Nel Sud d’Italia sono ancora visibili i segni dello stato degli schiavi. Lo stato dell’acqua, con tutta la simbologia della primordialità che essa racchiude.

B.    Però, è già in fermento lo stato dei liberi. Spuntano i segni di una cultura nuova. L’erba incolta cede il posto alle spighe del grano. Così come l’acqua cede il posto al vino nuovo del cambiamento che comincia a rosseggiare sulle mense dell’uomo.

C.    Si colgono frattanto nell’aria i segni premonitori della comunità di amici. Laddove la raccolta del grano, divenuto pane, indica la convivialità. E l’olio, spremuto dai frantoi, simbolizza le unzioni dello Spirito, che tornerà ad aleggiare non più sul “caos” primordiale, ma sul “cosmos” di un mondo restituito alla tranquillità dell’ordine, cioè alla pace.

 

Prima di andare aventi nell’analisi, vorrei ricordare un pensiero di Thèophile Gauthier, il quale diceva: “Se vuoi essere universale, parlami del tuo villaggio”. Se qui parliamo solo del Meridione d’Italia, e segnatamente della Calabria, non è per restringere gli orizzonti, ma è perché questa porzione di terra è quasi il luogo paradigmatico dove si svelano gli stessi meccanismi perversi che, certamente in modo più articolato, attanagliano tutti i Sud della terra.

Come si vede, affrontiamo stasera un tema congeniale a Pax Christi. Parliamo infatti delle strutture di peccato che generano le guerre. Quelle tra le nazioni, e quelle tra i cittadini di una medesima patria.

 

A.    Nel Meridione d’Italia di vede ancora l’età degli schiavi.

 

Prima di tutto è impazzita la legge (nomos) che regola la conduzione della casa (oikìa).

È saltata, cioè, l’eco-nomia. Si è stravolta l’eco-torah.

Le regole di condotta, indispensabili in ogni ordinaria società, sono state soppiantate da altre regole che privilegiano la forza sulla giustizia, l’arbitrio sul diritto, il “fai da te” sugli articoli di legge, il “self-service” normativo sulle istanze del bene comune legittimamente codificate.

Assistiamo, insomma, all’eclissi della legalità. Viene meno, cioè, la pratica e il rispetto delle leggi, mentre si incurva la fiducia nella cultura della norma.

Lo afferma un inquietante documento della Commissione episcopale italiana Iustitia et Pax pubblicato appena due mesi fa.

 

Questo precipitare a picco della fiducia nella legge ha offerto buoni motivi per “organizzare la disorganizzazione”. Sono proliferate, così, molteplici aggregazioni mafiose, fortemente modernizzate e interdipendenti, che poggiando su logiche clientelari, rappresentano una opportunità concreta di accedere alla ricchezza, al consumo, all’accaparramento delle risorse, all’attività imprenditoriale.

 

Di qui l’esposizione senza precedenti della violenza omicida e della criminalità organizzata.

Vi leggo il paragrafo 6 del documento sopra ricordato della Commissione “Iustitia et Pax”, che è di una impressionante lucidità.

 

Come su vede siamo veramente all’età dell’erba di cui parlava Gioacchino da Fiore, con tutta la forza pervasiva delle diramazioni scomposte che l’erba stessa richiama.

 

Qualche dato concreto può aiutarci a quantificare il fenomeno.

Il fatturato annuo di illegalità è pari a quello della FIAT: 50 mila miliardi [di lire -N.d.R.-]. L’industria mafiosa, insomma, è quella che tira di più.

Il 25% delle attività economiche nelle città più grandi del meridione (Napoli, Salerno, Reggio, Catania, Bari) è controllato direttamente dalle organizzazioni mafiose. Il 45% è controllato indirettamente. E solo il 30% è davvero “economia”: rientra cioè nelle leggi ordinarie della casa comune.

In alcuni casi, anche queste cifre saltano: per esempio, a Reggio Calabria il 90% dell’attività edilizia, e a Catania il 90% dell’attività della concia delle pelli, sono gestite dalle lobby di stampo mafioso.

Mi fermo qui. Ma non c’è nessuno che non veda come non solo siamo all’età dell’erba pervasiva, ma anche a quella delle acque del caos primordiale.

 

B.    Nel Meridione d’Italia fermenta già l’era dei liberi

 

Lo stadio della schiavitù, comunque, ha le ore contate. L’acqua della vecchia “eco-nomia” si tramuta in vino, come a Cana, e tra l’erba selvaggia spuntano le prime spighe.

Mi sembra di cogliere i segni del cambio particolarmente in tre soggetti: in una parte della società civile, nel volontariato, nella Chiesa.

 

Intanto, è molto significativo che le più audaci esperienze di rinnovamento della politica nascano dal Sud. Le giunte di Palermo e di Catania, al di là dell’arco corto in cui si sono consumate, la dicono lunga sulla voglia di rompere il circolo perverso che lega la politica agli affari. Così fa molto pensare il fatto che, proprio dal Sud, attraverso la nascita di movimenti politici cittadini, parta una nuova simpatia per la partecipazione alla cosa pubblica.

Si avverte che qualcosa del passato sta per morire. C’è aria di rigenerazione dal di dentro. Una coscienza pubblica sempre più diffusa comincia a dare picconate a quel sistema granitico che porta il nome di clientelismo: relazione adulterina che lega il cliente (portatore di consenso rastrellatore di voti) al patrono politico, il quale assicura in contraccambio beni dello Stato e prerogative istituzionali come posti di lavoro, avanzamenti di carriera, licenze edilizie, concessioni commerciali, appalti lucrosi, favori di ogni genere.

La gente, insomma, comincia a reagire, e dà l’impressione di non voler più stare a questo gioco di schiavi.

 

Ma è nel vasto settore del volontariato che si vanno registrando le analisi più lucide, le prese di posizione più coraggiose, le denunce più ferme, le progettualità più chiare. È un brivido di riscossa che scuote la schiena del Mezzogiorno.

Voglio riportare alcune parole di don Italo Calabrò, scomparso recentemente, coraggioso testimone della speranza, che proprio a Reggio Calabria ha ispirato quell’Osservatorio Meridionale che stasera noi intendiamo premiare.

“Riteniamo nostro primo dovere rinnovare la condanna, chiara ed esplicita, ad ogni forma di mafia, cancro parassitario, esiziale, che rode la nostra compagine sociale; succhia con i taglieggiamenti il futuro di onesto lavoro; dissolve i gangli della vita civile; con sequestri che non risparmiano più neppure le donne e i bambini, e, con uccisioni cinicamente consumate, irride e calpesta i valori più alti e gli affetti più sacri della vita. Siamo convinti che occorre da parte di tutti uno sforzo concorde e coraggioso, un’opera costante di formazione e di educazione delle coscienze perché questa disonorante piaga venga eliminata… Siamo qui riuniti anche per isolare i mafiosi: mandanti, esecutori, complici, chiunque essi siano e dovunque si annidino. Siamo qui per stabilire un costume di nonviolenta ma ferma opposizione alla mafia in tutte le sue manifestazioni… Occorre reimpostare una cultura della vita. Occorrono obiettori di coscienza e nonviolenti, che pratichino metodi e tecniche di resistenza alle intimidazioni della mafia, che facciano fronte alla mafia promovendo una mobilitazione della coscienza attraverso assemblee popolari, denunce e atti pubblici… Sarà una battaglia difficile, ma si potrà vincere se ci sarà concordia di intenti non soltanto sulle strategie, ma anche sulle tattiche… Non si tratta di una lotta di breve durata. Il male è ormai troppo radicato per poter pensare di vincerlo senza impegno, costanza e continuità, temporale oltre che spaziale”.

Vedete come è rosso il vino della calabria e come sono verdi le spieghe?

 

 

     Soprattutto nella Chiesa, comunque, si notano i segni della primavera. È una Chiesa che, pentita dei troppo prudenti silenzi, passa il guado. Si schiera. Si colloca dall’altra parte del potere. Rischia la pelle. E forse non è lontano il tempo che sperimenterà il martirio.

Vescovi, sacerdoti, religiosi, laici impegnati, dopo aver attinto alla linfa della fede antica nel presbiterio del tempio, scendono nella navata delle piazza e diventano mistici dell’impegno sociale.

All’interno di monasteri, di parrocchie, di comunità ecclesiali, si organizza la resistenza. Si disegnano strategie nonviolente. Si promuovono clamorose obiezioni di coscienza al potere dei campi, alla giustizia sommaria, alle feste patronali in cui spesso il mafioso del posto che organizza le raccolte di denaro, apparendo come persona di Chiesa e ad essa collaterale, verifica la sua presa popolare, rafforza la sua immagine e consolida il suo potere.

Grazie a Dio, diventano sempre più provocatrici le sfide di tanti uomini di Chiesa che sembrano dire ai potenti mafiosi: “Voi sparate le vostre lupare, noi suoneremo le nostre campane”.

 

C.    Nel Sud d’Italia irrompe ormai la comunità di amici

 

Ed eccoci al terzo stadio previsto da Gioacchino da Fiore. Se ne percepisce l’immanenza. E il Sud sente già scorrere nelle sue vene la linfa rigeneratrice della profezia.

È l’era del grano maturo, del pane, della “convivialità delle differenze”, in cui non basta che, superate le ingiustizie e gli accaparramenti egoisti, a ognuno venga dato il piatto che gli spetta, ma è necessario che questo venga consumato insieme, alla stessa tavola, tra amici che si vogliono bene.

È l’era dell’olio fluente, simbolo sacramentale dello Spirito, la cui forza unificante provoca riconciliazione con Dio, con gli uomini, col creato.

Utopie di inguaribili sognatori? Traguardi improponibili per un Mezzogiorno lacerato da tanti problemi sociali? Profezie sterili, incapaci di perforare antiche corazze di diffidenza e di omertà per piantarsi nel cuore della gente e divenire prassi quotidiana?

Tutt’altro. C’è nel Sud, oggi più che mai, un’ansia profonda di solidarietà. Si avverte il bisogno di uscire dalle vecchie aree dell’individualismo per aprirsi a orizzonti di comunione. C’è una istintiva disponibilità all’accoglienza del diverso. Non per nulla il Mezzogiorno è divenuto crocevia privilegiato delle culture mediterranee, vede moltiplicarsi al suo interno le esperienze di educazione alla pace, si riscopre come spazio di fermentazione per le logiche della nonviolenza attiva, avverte come contrastante con la sua vocazione naturale i tentativi di militarizzazione del territorio, e vi si oppone con forte determinazione.

È sempre più consapevole, insomma, che solo assumendo le categorie della solidarietà e della pace potrà risanare i ritardi del suo sviluppo, che un documento dei Vescovi di tre anni fa Chiesa Italiana e Mezzogiorno (che io amo chiamare “Sollicitudo rei meridionalis”) qualifica come “dipendente, distorto, incompleto, frammentato”.

L’Europa che nasce deve fare i conti con il Sud d’Italia, il quale, nella sua conoscenza emergente, si rifiuta di assolvere al ruolo di “icona della subalternanza” per tutti i Sud della terra, ma vuole sempre più decisamente presentati alla ribalta mondiale come “icona del riscatto” dalle antiche schiavitù. Ed è in forza di questo riscatto che il Sud d’Italia respinge la prospettiva di essere utilizzato come baluardo militare dell’Europa, proteso nel Mediterraneo come arco di guerra e non come arca di pace.

È il tempo della speranza. E a questa speranza c’è da far credito.

Nel libro dei Chassidim si legge questa frase di Baal Schem: “Il vero esilio per gli Ebrei si ebbe quando essi cominciarono a sopportarlo”.

L’Osservatorio Meridionale di Reggio è la testimonianza più autentica di come la Calabria non sopporti l’esilio. E noi stasera vogliamo premiare la fierezza di questa terra, amara e forte, che non si è voluta adattare alla rassegnazione.

 

 

Antonio Bello, vescovo di Molfetta

Presidente Italiano di Pax Christi

 

 

 

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* Messaggio inviato al convegno “Presenza della chiesa e lotta alla mafia” tenutosi a Cosenza il 30 aprile 1992. Impossibilitato a partecipare, per le sue condizioni di salute, don Tonino predispose questo testo.

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